Soy el tipo que se echa a correr y le
Sono il tipo che si mette a correre / e rompe la gamba ad una vecchietta con un ferro / e ruba il suo portafoglio / Allo stesso tempo sono la vecchietta / E ovviamente, anche il portafoglio.
Frank, poeta y e musicista in Bogotana[mente] di A. Costamagna

“No hay un clima ni un cielo ni un paisaje en Bogotá. Es decir, los hay pero en plural: veinte climas, veinte cielos, veinte paisajes distintos cada día.
El paraiso y el infierno para los fotógrafos, pienso […].
Los bogotanos se refieren a sus compatriotas de poblados bajo los mil quinientos metros de altura como “calentanos”: gente de tierra caliente […].
En Bogotá, en cambio, nunca hace calor. El sol va y viene: saluda, besa y adiós. Y luego irrumpe un sonido de tronadura y el cielo parece quebrarse y los rayos electrocutan las nubes y viene la lluvia. […] Y también el granizo proprio de tierra fría. Y otra vez el sol, que saluda, besa y se va.”
“Non c’è un clima ne un cielo a Bogotà. O meglio, c’è ma al plurale: 20 climi, 20 cieli, venti paesaggi ogni giorno. Il paradiso e l’inferno per i fotografi […]. I bogotani si riferiscono ai loro compatrioti di paesi al di sotto dei 1500 metri di altitudine come “calentanos”: persone di terra calda, […]. A Bogotà, al contrario, non fa mai caldo. Il sole va e viene: saluta, bacia e addio. / Poi arriva il rumore dei tuoni e il cielo sembra bruciarsi e i raggi fulminano le nuvole e arriva la pioggia. […] E poi un’altra volta il sole, che saluta, bacia e se ne va.”
tratto da Bogotana[mente] di A. Costamagna

Bogotà, 9 milioni di abitanti.
La prima cosa che impressiona è il suono, dirompente rispetto a tutti i territori attraversati dal progetto VideoRitratti.
L’esigenza di costruire una narrazione diventa motore di tutta la ricerca.
Ogni via, ogni piazza, ogni quartiere, ogni angolo, ogni persona potrebbe appartenere a qualunque luogo.
Ciò che accomuna tutto è lo sfondo del ritratto.
La cinepresa indietreggia di un altro passetto.
Qui più che altrove ogni ritratto è stato occasione per mettere in discussione ciò che si pensava aver afferrato.
La metropoli, la sua vita dirompente e cangiante, ha ogni volta “rotto il quadro”.
Il fermarsi di ognuno si fa atto di presenza e resistenza attraverso la corporeità e lo sguardo.
Non c’è un ritratto in cui la città non si muova alle spalle.
Il suono è un insieme di 10, 100 suoni.
Sirene, motori, annunci, mormorio, canti, campane, urla.
Il suono, questa volta, diventa motore per costruire la narrazione, il fuori campo.
L’intento è descrivere questo luogo, crocevia di tanti altri luoghi e di tante storie, attraverso un ritratto collettivo, una chiamata alla posa, al guardarsi in un tempo in cui tutto è fugace, in una città dove guardarsi negli occhi più che alle spalle è faticoso.
Anche la persona ritratta decide spesso di rompere il quadro, svelare l’interazione.
C’è chi ha sentito l’esigenza di cantare, chi di recitare una poesia, un pezzo Rap che racconta la vita nelle strade, chi di guardare in camera continuando comunque a fare ciò che stava facendo prima di incontrare il nostro sguardo.

VideoRitratti da Bogotà ha preso forma in un cortometraggio della durata di 22 minuti dal titolo Mamihlapinatapai – Gente di Bogotà, un mosaico di volti che sospendono la loro corsa per un istante. Un istante che dura il tempo del Ritratto e nel quale ognuno interpreta a modo suo il guardare. Un invito al corpo, al guardarsi, ad osservare per scorgere tutte le sfumature di uno sguardo. È un ritratto di una metropoli, in cui l’atto di fermarsi e guardare, è atto rivoluzionario: sospensione per un’istante dello scorrere incessante del tempo; richiamo al prendersi tempo per osservare e dedicare attenzione all’altro.
“Mamihlapinatapai” è una parola indigena che descrive l’atto di guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altro faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo.
Un cortometraggio che riflette sull’atto del guardarsi intensamente negli occhi, che sceglie la forza di un corpo fermo dentro il movimento incessante, per condurre lo spettatore in una immersione nella città, nei suoi rumori e nei suoi movimenti e per disseminare indizi di una storia più grande: “dagli spaccati individuali, vengono fuori degli spazi filosofici sul tempo e il movimento che sembrano raccontare non solo la Colombia ma l’intero continente sudamericano, sempre sospeso tra l’azione, la rivolta e invece un lento incedere, un’attesa permanente” (A. Renda).
Mamihlapinatapai – Gente di Bogotà
Regia e montaggio: Gaetano Crivaro, Margherita Pisano
Aiuto regia e Fotografia di scena: Andres Santamaria
Fotografia: G. Crivaro
Suono: M. Pisano
Produzione: L’Ambulante
Ricerca e sperimentazione visiva/sonora: G. Crivaro e M. Pisano
Con la collaborazione di: Andres Santamaria (fotografo/filmaker); John Bernal (antropologo); David Rojas (docente universitario/ filmaker); El Espejo corporación audiovisual y escuela de Cine, Universidad Uniminuto, Arcupa e Los Encinesmados escuela de cine comunitario.
Con il sostegno di DE.MO./MOVIN’UP I sessione 2016, a cura di MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, Direzione Generale Spettacolo e GAI – Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani.
Co-finanziato attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso.

“Me regalas un minuto por favor?”
Tutto si muove incessantemente, fermarlo sembra difficile.
“Mientras caminamos por la calle 26 echucho la voz de otro vendedor ambulante: «Minutos, minutos». Es cosa de prestar atención: casi en todas las esquinas de Bogotá hay algún kiosco o un puestito improvisado con letreros que anuncian la venta de minutos telefónicos. Minutos, minutos. Venden tiempo, fantaseo. El sueño de vivir un presente infinito. Deme veinte, treinta kilos, por favor. Pero los minutos reales corren y ya…”
“Mentre camminiamo per la calle 26 ascolto la voce di un altro venditore ambulante: «Minuti, minuti». È una cosa a cui dare attenzione: in quasi tutti gli incroci di Bogotà c’è un chiosco o un posticino improvvisato con cartelli che annunciano la vendita di minuti telefonici. Minuti, minuti. Vendono tempo fantastico. Il sogno di vivere in un presente infinito. Dammene venti, trenta chili per favore. Però i minuti reali corrono e basta…”
Grigia, fredda, frenetica a primo impatto, dove, se apprendi a “leer las calles” (“leggere le strade”, cit. J.Bernal) il grigio si mostra di tutti i colori.
Imparare a leggere le strade quindi, passo dopo passo, e scoprire per esempio che quelle geometrie perfette della maglia coloniale si infrangono intessendo delle gerarchie spaziali che dividono la città seguendo altre logiche.
Il progetto VideoRitratti da Bogotà si è sviluppato tra ottobre e dicembre 2016. Una ricerca sperimentale e camminante. Un vero e proprio viaggio, muovendosi di quartiere in quartiere, immergendosi in contesti molto distanti tra loro seppur divisi da una manciata di “quadre”.
Per circa un mese e mezzo, abbiamo percorso le strade di Bogotà, di notte e di giorno, in quartieri periferici di nuove e antiche “invasioni”, in piccoli paesi ormai assorbiti dall’espansione della Capitale, in quartieri centrali dove spesso una “calle” segna il confine tra differenti mondi che coesistono si sfiorano e spesso solo nella notte si attraversano.

Con John Bernal (fotografo, educatore e camminante) abbiamo attraversato, spesso di notte e sotto la pioggia, un settore complesso e centrale della città: “Los Martires”. Popolatissimo e popolare, nelle case e nelle strade. L’umanità che di giorno non trova luogo di sosta e si muove incessantemente per la città, con carretti carichi di pezzetti di cose d’altri buttati via, la notte, si rifugia in quelle strade che tollerano ancora la loro presenza in sosta. E in queste stesse strade, dove un attimo prima si è immersi nell’odore del traffico bagnato, dei rifiuti, nel silenzio profondo della città, ancora un po’ più in profondità, nelle sue maglie più strette, ci si ritrova in un odore di campi bagnati che inebria, rumori di: fischi, carretti, vociare leggero, ti portano in una dimensione sensoriale molto lontana da una metropoli. Un mercato notturno specializzato in erbe: aromatiche, esoteriche, medicinali, afrodisiache. Erbe di tutti i tipi. Eppure si è sempre li nello stesso quartiere.
“ Lavoro dalle 20.00 alle 6.00 del mattino. Mi piace lavorare la notte. Le persone sono più simpatiche, non devono correre in orario a lavoro, sono più rilassate e chiacchierano in maniera più spontanea. A volte ridono, a volte sono tanto ubriache da fare tenerezza, a volte piangono.” (cit. tassista notturno)
Poi c’è il Sud, la musica Rap, i giovani e giovanissimi e il “barrio” che in realtà è una grande città. Usme, località all’estrema periferia Sud, siamo stati avvolti dalla musica Rap, dalla vitalità di molti giovani Usme quartiere di periferia (che in realtà è un centro) e piccolo borgo dal volto antico e rurale. Usme, località dai molteplici volti, dove passato, presente e futuro sono parte dello stesso tempo, dove urbano e rurale fanno parte dello stesso spazio.
Poi c’è Il Nord. Bogotà è una città che si è costruita riproducendo spazialmente l’immaginario di divisione del mondo. Al Nord i ricchi a Sud i poveri. I suoi abitanti, man mano che scalano i livelli sociali si spostano sempre più a Nord. Salvo rare eccezioni, di giovani, ex studenti, lavoratori culturali che tentano di far rivivere il centro come il Sud. Ma dicevamo il Nord. Il nord è un groviglio di strade a scorrimento e super palazzi di uffici, centri commerciali, centri di salute e super appartamenti. Appartamenti sorvegliati. Il caos e il “disordine” delle strade non esiste, è un susseguirsi di marciapiedi e parchi ben curati. Nelle ore di punta, alle stazioni degli autobus, la folla densa riempie i cavalcavia e in questa corsa verso casa si incrociano i mondi. Abitanti che attraversano e collegano il Nord e il sud.


“Che Bogotá sia duemilaseicento metri più vicina alle stelle si sente dal fiatone che ti viene subito e nella spossatezza dell’altitudine. Ci vorrà qualche giorno per abituarsi.
Bogotà è una città imprevista. Sei milioni di abitanti, ricchezze stratosferiche, povertà subumane. A est le Ande, nere, severe, impenetrabili. A ovest la Sabána, l’altopiano ricco di pascoli. Un gruppo di grattacieli – la zona degli affari – raggruppati intorno all’Hotel Tequendama, alla Borsa e alla Plaza de Toros e una distesa di casette basse, monofamiliari. Al Nord stanno i ricchi, al sud i poveri poverissimi, con i bambini che vivono frugando nel “basurero”, l’immondezzaio della città.
Le scalate sociali sono accompagnate da traslochi successivi, sempre più a Nord.
La gente è il solito bianconero dell’America Latina, declinato in centinaia di caratteristiche somatiche che vanno dal biondo slavato al nero-nero, passando per tutte le combinazioni possibili fra le tre razze che hanno mescolato incessantemente (e, suppongo, con mucho gusto) i loro cromosomi da Colombo in poi. La classe dominante è tutta bianca e di origine spagnola.”
da Piombo e tenerezza di E. Baldoni, 2011
Poi c’è Plaza Bolivar, il luogo centrale della metropoli, attorniata dai palazzi del potere, dove trovano spazio molte istanze della popolazione Colombiana. Nel periodo della ricerca la piazza era occupata dal “Campamento por la paz”.
ll 4 Ottobre 2016, in seguito all’incertezza dovuta al risultato alla vittoria del No al referendum sull’accordo di pace tra governo e Farc-Ep, un variegato gruppo di: giovani; anziani; famiglie; studenti; vittime; “desplazados” dalla violenza; uomini e donne; provenienti da diverse parti della Colombia ha deciso di dar vita ad un accampamento per la pace in piazza Bolívar, per chiedere il rispetto del cessate il fuoco bilaterale e far pressione sul governo affinché vengano accelerati i tempi per il raggiungimento degli accordi di pace.
Oggi partirò, oggi mi zittirò
Perché il mondo mi insegni
E non per insegnare io al mondo
Perché se parlo troppo
Le mie parole si perdono al vento.
Meglio star zitti
Perché la saggezza venga
E se c’è saggezza
che la comprensione appaia
Per stare zitti
Di fronte all’innocenza.
Cit. Fernando
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